Il crypto ha un enorme problema – ed è uno di cui quasi non parliamo onestamente. Come fanno i fondatori a guadagnare centinaia di milioni (o miliardi) dai token che hanno creato prima che i loro prodotti dimostrino una reale utilità o adozione? Nei mercati tradizionali, il valore segue le prestazioni: i fondatori diventano ricchi perché la loro azienda costruisce qualcosa che le persone usano, genera profitto e cresce nel tempo. Nel crypto, spesso è il contrario. I token vengono lanciati per primi, le valutazioni schizzano alle stelle sulla base di speculazioni, e i fondatori incassano molto prima che il prodotto sia testato sul campo o che la rete raggiunga un utilizzo significativo. Il risultato è una strana inversione degli incentivi – una ricchezza enorme costruita su potenziale piuttosto che su prove. E poiché i token vengono scambiati a livello globale, quel valore viene estratto dai partecipanti al dettaglio che stanno effettivamente sovvenzionando l'esperimento. Non sto dicendo che i fondatori non dovrebbero essere premiati per l'innovazione. Molti stanno costruendo tecnologie genuinamente trasformative. Ma quando fortune da miliardi di dollari vengono realizzate prima che il successo sia guadagnato, sorge una domanda fondamentale: Se il valore futuro è ancora indeterminato, perché i premi sono già stati realizzati? Questa disconnessione è ciò che tiene così tante persone scettiche nei confronti dei modelli di token. Fino a quando l'industria non collegherà più strettamente il guadagno dei fondatori all'effettiva adozione e all'uso della rete, la narrativa "speculazione sopra sostanza" rimarrà meritata.